Nell’ultimo mese ho riflettuto molto sulla mia vita qui.
Io sono una che pensa molto.
Ho interi monologhi nella mia testa.
Forse dovrei chiamarli film.
Ho capito che non ho più paura.
Non ho più paura da tanto. Tantissimo.
Mi stupisce quasi di aver avuto paura.
Paura di riempiere quel bicchiere vuoto.
Paura di scomparire.
Paura di PERDERMI.
Paura di fare una scelta che non avrei mai immagginato.
Una scelta che desta sempre commenti diversi.
Lo strombazzare di un clacson mi distoglie dai miei pensieri.
E’ il solito taxi che mi chiede se ho bisogno di un passaggio.
Alzo la mano in segno di diniego e lui, a quel punto, accelera di nuovo.
Sono giorni che cammino tanto a piedi.
Mesi anzi.
A Kuwait esiste un inverno. Corto, ma esiste.
Anzi in certi giorni fa davvero freddissimo. Ma per la maggior parte del tempo abbiamo cielo blu, sole e aria fresca.
E io cammino. Io che ancora non ho preso la patente un po’ a causa delle lungaggini burocratiche un po’ a causa della mia paura a guidare. Consapevole che la mia mente spesso vola. E qui, la mia distrazione mi costerebbe cara.
Allora cammino.
Vivo a Salmiya. Il mio feudo, lo chiamano le mie amiche.
Sorrido a ripensare a quanto mi prendeva in giro Elisa. Quando organizzavamo eventi, sapeva che finivo per prediligere i posti in questo quartiere.
Un quartiere in cui ci sono sicuramente bei grattacieli, palazzi nuovi. Ma in cui, svoltato l’angolo, è possibile trovare case vecchie o il Souk di Salmiya.
Delimitato fra due enormi marciapiedi. E addirittura chiuso al traffico.
Una rarità.
Mi fermo e guardo un gruppetto di ragazzini intenti a giocare a calcio.
A fare da porta è la serranda chiusa di un negozio.
Indossano vestiti normali. Nessuna dishdasha. Ma non sono nemmeno in tenuta sportiva.
Un po’ come vedevo fare al mio paese tanto tempo fa.
Tirano calci a un pallone. Sono felici.
Sulla sinistra vedo un negozio di abbigliamento maschile “Italian Vision” .
Mi ruba un altro sorriso. Che passione che hanno per noi.
Soprattutto per il fashion. Anche in un quartiere come questo.
Mi guardo intorno e sono l’unica donna. Oltre ai bambini e a me, ci sono solo negozianti e uomini in dishdasha. Grigia, il colore invernale.
Forse dovrei avere paura.
Ma non ce l’ho. Non sento nemmeno l’impulso di stringere forte la borsa come quando sono altrove.
Né mi sento un pesce fuor d’acqua. Nemmeno i miei capelli biondi stonano.
Ora tutto mi è familiare. Noto.
Ed è così strano sentirsi così a casa.
Non l’avrei detto.
Non sono una di quelle persone che dicono che qui si annoiano.
Che gli manca l’aria. Che sentono che è arrivato il momento di andare.
Ho talmente tanto da fare e, ogni volta, mi trovo coinvolta in qualcosa di nuovo.
Confesso che ad andare via non ci penso.
Sebbene siamo invece proprio nella fase in cui dobbiamo pensarci.
Ma io faccio davvero fatica a rispondere “dove vorresti andare ?“.
Ogni volta penso “Perché? Io qui sto bene”.
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mammamedico says
brava, io non ce la farei. una mia amica mi ha confidato che il marito ha chiesto un trasferimento all’estero. io ogni giorno spero che non l’accettino. mi viene l’ansia per lei. e anche per me che perderei un punto fermo
mimma says
All’inizio appunto la paura è tanta, tantissima. E non è facile. Mai. Però può essere una esperienza davvero unica. E importante per tutti. In bocca al lupo.
Raffaella says
Che bel post! Così semplice e con un messaggio davvero forte e positivo. Mi piace la sensazione di sentirsi a casa anche fuori dal nostro Paese natio. Sembra che il tuo modo di rapportarti con ciò che non appartiene alla nostra cultura sia davvero il modo giusto per arricchirti. Continua così, leggo sempre il tuo blog con piacere 😉
mimma says
Grazie raffaella. troppo gentile.