Ve l’avevo già raccontato che Kuwait ha fatto il miracolo.
Parlo inglese.
Certo l’ho imparato sul campo e sembro un po’ Renzi che fa rabbrividire mia cognata per il suo pessimo accento, ma che a me pare così familiare e oserei dire normale.
Certo sbaglio spesso il sound e ci sono alcune forme verbali che mi sono proprio ostiche.
Ma parlo e capisco. Con sommo stupore di mio padre che una volta qui mi ha detto: TU LEGGI IN INGLESE??
CAPISCI DAVVERO TUTTO?????
Chissà forse pensava che fossi rimasta alla comunicazione gestuale.
Che vi dirò all’inizio mi ha salvata in tante occasioni. Insieme al sorridere sempre.
I modi in cui l’ho imparato sono antinconvenzionali.
Sono più dei trucchetti, in cui ho cercato di trasformare tutto in una occasione per imparare.
Diciamo che è un inglese pratico. Salva vita.
Ora però mi sto concentrando su un metodo più consono.
L’interscambio linguistico.
Credo che ognuno di noi abbia delle doti, delle attitudini.
Ci sono cose che ci riescono facili, altre invece che ci paiono imprese titaniche.
Per me imparare una lingua non è mai stato semplice.
L’inglese poi non ne parliamo.
Con quel sound così diverso, si scrive in un modo e si pronuncia in un altro.
La frase che si costruisce in modo diverso.
Per non parlare delle mille eccezioni. I verbi irregolari. Genitivo sassone. Il past tense.
Mentre ero a Milano ho fatto tanti corsi.
Anzi ne ho iniziati tanti ma finiti pochi. Mi scoraggiavo un sacco. Mi annoiavo MORTALMENTE.
Spesso mi sono imbattuta in veri madrelingua ma senza alcun metodo per insegnare.
Invidiavo quelli che sentivano una canzone e poi la replicavano con facilità.
“Ho imparato l’inglese con le canzoni”. Anche se magari non le capivano e, anzi, si sono ritrovati a cantare grandi stupidaggini, non avevano però alcuna difficoltà a ripetere.
E trovare il coraggio di parlarlo è stato più semplice. O almeno così mi dicevano.
Oppure la mia amica Mariangela super fluent che però se le chiedi la regola non la sa.
A lei le “suona” e parla benissimo, e scrive pure meglio. Perchè quel genio di sua madre dall’età di sei anni la portava un mese in inghilterra e poi loro stessi a Petacciato ospitavano ragazzi madrelingua.
Invece a me si è sempre attorcigliata la lingua quando provavo a cantare.
Nella mia testa è sempre successo che, non appena qualcuno mi parlava in inglese, partiva un enorme LALALALA che mi impediva, non solo di capire, ma anche solo di mettere due o tre lettere insieme.
E tenete conto che io sono una secchiona: a scuola sono sempre stata una delle più brave e se non ci arrivavo per attitudine ci arrivavo per impegno e determinazione.
Ma con l’inglese non c’è mai stato verso.
Quando sono arrivata a Kuwait ho subito pensato che questa era la mia occasione per colmare questa enorme lacuna.
E così è stato.
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Non ho una predisposizione naturale per imparare le lingue facilmente e con velocità come succede al alcune persone ma l’inglese, l’ho “preteso” con tutte le mie forze perché è la lingua che ti apre le porte ovunque tu vai, inutile nasconderlo. Ho imparato con metodi vari, dai corsi, alle lezioni private, a giornali, alla TV, canzoni e viaggi…tutte le occasioni che mi sono capitate per approfondire e migliorare, le ho colte al volo…oggi il mio inglese e’ molto lontano dall’essere perfetto, direi che è buono ma non mi fermerò, il problema più grande e’ l’esercitarlo poco…ci vorrebbe qualche viaggetto in più all’estero!!! ;-))))))))))
Bravissima è lo spirito giusto!
Gentile sig. Mimma (stavolta non ho sbagliato nome!), lei è più nel giusto di quanto, forse, pensi. Nel libretto che mi sono permesso di consigliare nel mio precedente post, il “Fluent in 3 Months” , Benny Lewis ci dice che la lingua è un fatto di comunicazione, e quindi che, almeno inizialmente, grammatica, pronuncia e simili non contano. L’unico errore vero che possiamo fare è non riuscire a comunicare. In altre parole, se lei di fronte al barista anglofono chiede un caffè ed una focaccina, e questo le danno, ha fatto giusto, se invece le porgono, che so, un cacciavite, ha sbagliato. E lei ha istintivamente applicato subito questo concetto. Continui così, e, mi creda, provi anche con l’arabo. Non immagina la soddisfazione che si prova – nel mio caso a Parma- a chiedere in arabo il kebab al negoziante tunisino, essere serviti di conseguenza e sentirsi chiedere se per caso siete… pakistano!