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si..viaggiare in oriente….

10 Aprile 2013 By mimma 2 Comments

Ancora uno squarcio della vita a Singapore, raccontato dalla bella penna ironica della nostra amica Federica che ci manca un sacco… 

“La vita in Kuwait mi ha fatto acquisire qualche vizietto, uno dei quali era rappresentato dal mio giro di drivers indiani. Non fraintendetemi. 
Per muoversi in una citta’ amena come Kuwait City, dove passeggiare per strada non e’ contemplato, il metro non esiste e gli autobus sono rigorosamente non expat friendly, o sei pilota nato come Drusilla oppure ti cerchi un taxi. Che poi alla fine si e’ rivelato semplicissimo. Individuata la giusta compagnia, nel mio caso gestita dall’ intraprendente Hamid, omino senza eta’ indiano, che alla guida (scalzo) del suo taxi, con il solo potere della mente e di un nokia datato gestisce un impero di circa una trentina di taxi, facevo cosi (alla Renato Pozzetto): messaggino – taac –  macchinina – taac –indianino che ti apre la porta/saluta il figlio/saluta madam/ carica passeggino ed eventuali borse – taac – arrivo a destinazione. Taac. Per il recupero, idem. Infallibili, economici, qualche volta un po’ in ritardo, ma nel complesso efficaci.


La Singapore da bere, in quanto metropoli civile, regala gioie e dolori in materia di trasporti.

Appena arrivati, ancora obnubilata dalla routine mediorientale, mi sono ovviamente gettata sulle macchinine gialle (nonche’ rosse, blu e bianche), pare ce ne siano piu’ di cinquantamila. 

Per scoprire nell’ordine che: la prenotazione base con sms o telefonata implica un sovrapprezzo e non ti consente di decidere quando vuoi il taxi, che potrebbe arrivare entro 3-5 minuti, 5-7 minuti, 7-9 minuti o mai, perche’ mentre stai aspettando fiduciosa ti arriva un altro messaggio per dirti sorry, nessun taxi disponibile, riprova piu’ tardi. La prenotazione “sicura”, cioe’ un taxi entro trenta minuti, implica il sovrapprezzo del sovrapprezzo, alla fine spesso piu’ dell’intera corsa. 

Alla fine non resta che trasformarti in Carrie Bradshaw (difficile in infradito, bermuda, maglietta con macchia di cioccolato, passeggino e Pidocchio al seguito), piazzarti lungo la strada, sventolare la manina e sperare nella sorte. Perche’ comunque quando piove  o nelle ore di punta i cinquantamila stramaledetti taxi diventano improvvisamente tutti hired. Resta solo l’imprecazione contro ignoti nella propria madrelingua. Sorvolo sugli autisti, cinesi fuori ma liguri dentro, che quando si fermano restano saldamente ancorati al posto di guida, limitandosi ad aprire il cofano con un click mentre tu, con mossa plastica, pieghi il passeggino con un piede e lo getti nel bagagliaio, lanci il Pidocchio a bordo, raccatti la borsa e sali a congelarti. 
Qui i vetri si appannano, ma all’esterno. Misteri della fisica. 

Cosi’ ci siamo dati all’esplorazione della metropolitana. 
Quattro linee molto milanesi, gialla
, verde, rossa, viola, che attraversano piu o meno tutta la citta’.

Puntualissima, pulitissima (prima o poi lecco per terra, l’ho gia’ detto), estremamente comoda se dove devi andare e’ vicino ad una stazione, inutile se lontano. Uno spiegamento di segnaletica orizzontale e verticale a prova di scemo. Frecce verdi e rosse all’uscita e all’ ingresso dei vagoni indicano precisamente dovestare in coda. 

Se per caso c’e’ un po’ piu’ di ressa, una voce suadente in inglese e in mandarino ti ricorda che il prossimo treno passera’ entro due minuti, quindi e’ inutile affannarsi per salire adesso; e magicamente  appaiono agenti dei trasporti in divisa che separano le folle come Mose’ con il Mar Rosso per incanalarle con fluidita’ nelle carrozze.

Il metro e’ diventato subito il grande amore del Pidocchio, che lo chiama train, pronunciando tr come se fosse nato ad Oxford. Vede le indicazioni per strada a 200 metri di distanza, individua l’ascensore per disabili in posti impensati, urla treno! treno! luci! luci! all’arrivo del mezzo, pretende un posto in prima fila come l’abbonato Rai nel vagone di testa per vedere fuori (cioe la galleria buia). Per farlo felice basta fare casa- giardini botanici: 45 minuti sottoterra quando con 8 minuti di autobus saremmo a destinazione. 
Amore materno. 

Alla fine non ci e’ rimasto che il bus da esplorare. Che dire, puntualita’ disarmante e rete capillare.

Unico neo, occorre sapere esattamente dove andare, salire, dirlo all’ autista, che tipicamente non capisce perche’ la tua pronuncia e’ sbagliata, strappargli di mano la tabellina con le fermate, indicare dove vuoi scendere, pagare in monetine esattamente la cifra prestabilita, il tutto mentre l’autobus e’ in corsa (la puntualita’ va conquistata, il giappo-autista non puo’ perdere minuti preziosi parlando con un’occidentale che fa turismo metropolitano), un getto di aria ghiacciata ti iberna la maglietta bagnata (l’ho gia’ detto, io vivo nel posto piu’ umido del mondo…) e il Pidocchio intona “the wheels on the bus go round and round”.

Ormai e’ assodato: nelle  riflessioni della sera (lo sapevate? sono l’unica expat che ha malinconia del Kuwait) penso sempre al mio tassista Hamid come al Brad Pitt del Medio Oriente…

Federica”

Filed Under: Senza categoria

Comments

  1. Anonymous says

    10 Aprile 2013 at 21:51

    Cara Federica ammiro la tua intraprendenza come quella di Mimma e di Billa siete non solo intraprendenti ma anche coraggiose . Interessante quello che scrivete fa conoscere mondi diversi ma siete anche divertenti ciao carine

    Rispondi
  2. Anonymous says

    11 Aprile 2013 at 8:40

    Grazie..! In questi paesi cosi lontani e diversi dall’ Italia bisogna metterci un po’ di ironia, altrimenti e’ dura!! Un abbraccio

    Rispondi

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